Uno dei passi da cui sono stata decisamente colpita di “Esperienza e educazione” di John Dewey richiama l’attenzione sull’importanza del lavoro dell’educatore, che certamente è un qui ed ora ma che non può esprimere i propri risultati nell’oggi e nell’immediato.
Così riporta Dewey:”Non basta insistere sulla necessità dell’esperienza e neppure sulla attività nell’esperienza. Tutto dipende dalla qualità dell’esperienza che si ha. La qualità di ogni esperienza ha due aspetti: da un lato può essere immediatamente gradevole o sgradevole, dall’altro essa esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori. Il primo è ovvio e facile a cogliere. Invece l’effetto di un’esperienza non lo si può conoscere subito. Pone un problema all’educatore. È suo compito disporre le cose in modo che le esperienze pur non allontanando il discente e impegnando anzi la sua attività non si limitino ad essere immediatamente gradevoli e promuovano nel futuro esperienze che si desiderano. Come nessun uomo vive e muore per se stesso, nessuna esperienza vive e muore per se stessa. In completa indipendenza dal desiderio o dall’intenzione ogni esperienza continua a vivere nelle esperienze future. Nei consegue che il problema centrale prima di un’educazione basata sull’esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno.“ (p.7)
Dunque mi chiedo, come possiamo essere certi che le esperienze che stiamo promuovendo nel presente saranno proficue nel futuro? Come siamo certi che le esperienze proposte siano gradevoli e collegate tra loro? Come faccio ad essere certo di proporre quello che Dewey definisce un continuum sperimentale?
Giulia Ognibene