Vorrei lasciare qui un commento postumo al mio intervento durante la open discussion dello scorso giovedì sulla compassionate conservation. Purtroppo non c'è stato abbastanza tempo per affrontare a pieno l'argomento, che ho molto a cuore, e per rispondere a tutte le domande che ci sono state mostrate alla fine della presentazione.
Metto subito le mani avanti dicendo che non sono assolutamente un fondamentalista della conservazione compassionevole, anzi, al contrario, ho purtroppo riscontrato diverse criticità negli articoli che presentavano l'argomento, seppur trovandomi comunque d'accordo su molto. Come detto anche dal professore, anche io trovo abbastanza stupida questa dicotomia tra conservazione tradizionale ed etica. Leggendo questi articoli mi è quasi sembrato si cercasse di più lo scontro, creando due diverse fazioni, piuttosto che un punto di incontro che guardi effettivamente a fatti concreti e che possa portare ad un qualche tipo di evoluzione in campo conservazionistico. Non ritengo quindi i mezzi "letali" o violenti sempre meritevoli di demonizzazione, essendo questi spesso utili al fine di raggiungere i propri obiettivi, anche più di altri metodi.
Detto questo, va bene tutto, ma non riesco proprio a farmi andare bene la caccia al trofeo, la trovo una cosa ripugnante e per quanto possa far bene alla conservazione, non riesco a farmela andare bene comunque. Penso di aver dato spesso un'immagine di me molto pessimista e senza speranze, ma in questo caso le speranze le voglio avere. Non posso credere, o comunque non voglio, che non ci possa essere un'altra soluzione. Non riesco ad accettare che per salvaguardare il benessere di determinate specie, sia accettabile ammazzare a sangue freddo un animale solamente perchè un ricco egocentrico si è svegliato la mattina e così ha deciso. Non riesco ad accettare che determinati eletti possano trattare delle vite come fossero giocattoli e che le sorti della conservazione di determinate specie sia in mano a queste persone e ai loro soldi, persone a cui di base del conservare quelle specie non frega niente, se non nell'ottica di avere più prede da ammazzare.
Ritengo che un cambiamento di rotta sia non solo necessario, ma fondamentale. Non sto dicendo che le cose debbano cambiare dall'oggi al domani, sono consapevole dell'attuale dipendenza della conservazione da questi metodi, ho letto diversi articoli riguardo il calo di biodiversità avvenuto in alcuni paesi africani in seguito al divieto di caccia. Voglio però credere che i fondi per la conservazione possano essere ricercati in altri modi. Se metodi così barbari continuano a persistere tutt'oggi è perchè più di qualcuno ci mangia sopra, a discapito non solo degli animali, ma anche delle popolazioni locali.
Qual è il prezzo di una vita, e chi lo decide? Quanti soldi sono abbastanza per poter parlare di caccia legale e non di bracconaggio? Per me separare le due cose non è facile, significa accettare il fatto che al mondo tutto ha un prezzo, anche la dignità e la morale.
Questo facciamo, da sempre. Arriviamo in un luogo, distruggiamo tutto e poi sfruttiamo le sue risorse come se tutto ci fosse concesso.
Quindi lasciatemi essere ottimista per una volta, lasciatemi sperare in un mondo in cui non sta a noi decidere chi ha il diritto di vivere e chi di morire.
Voglio chiudere con un passaggio di un libro che ho letto di recente, che parla proprio di questo tipo di caccia, "Verdi Colline d'Africa" di Hemingway. Per quanto io non potessi mai essere d'accordo con lui, ho trovato comunque molto affascinante la sua visione del tema e la sua lucidità nel descrivere la direzione in cui verge il mondo, nonostante un'apparente ipocrisia in quanto vi riporto di seguito.
"I continenti invecchiano presto quando arriviamo noi. Gli indigeni vivono in armonia con essi, ma gli stranieri distruggono, tagliano le piante, prosciugano, e modificano così il rifornimento dell'acqua, e in breve il suolo, una volta che le zolle sono rivoltate sotto, si insterilisce, e si volatilizza come è già accaduto in tutti i vecchi paesi [...]. La terra si stanca di venir sfruttata. Una regione si esaurisce rapidamente a meno che l'uomo non le ritorni i suoi residui e quelli dei suoi animali. [...].
Un paese è fatto per rimanere quale noi lo troviamo. Siamo noi i disturbatori e dopo la nostra morte esso si troverà anche del tutto rovinato, ma sarà sempre lì, né sappiamo quali saranno gli ulteriori cambiamenti."
Pace,
Davide.