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Pomponio Leto
Tra gli umanisti che insegnarono nella seconda metà del Quattrocento a Roma presso lo Studium Urbis ha avuto un ruolo importante Pomponio Leto. Fu capo dell’Accademia romana di cui fecero parte i suoi allievi e numerosi dotti uniti dal desiderio di recuperare i valori dell’antichità non solo dal punto di vista letterario, ma anche nelle pratiche civili e negli ideali a cui improntare i principi di una nuova società rischiando inconsapevolmente di allontanarsi dalla realtà storica del proprio tempo (vd. M. Accame, Pomponio Leto. Vita e insegnamento, Tivoli 2008). La fama di Pomponio è legata soprattutto al suo insegnamento come è testimoniato dai suoi allievi, Michele Ferno e Pietro Marso, da amici e colleghi. La lezione di un umanista consisteva quasi sempre nel commento di un autore classico in cui il professore non si limitava a spiegare il passo dell’opera antica, ma allargava le sue considerazioni a vari argomenti rivelando la sua formazione storico-letteraria, ma introducendo anche notizie tratte da esperienze personali di vita. Le lezioni di Pomponio abbondano di questi riferimenti autobiografici: si pensi per es. alle annotazioni frutto del suo viaggio in Scizia di cui sono purtroppo andati perduti i Commentariola ma che possiamo ricavare in parte dai corsi su Virgilio e Valerio Flacco (vd. M. Accame, Note scite nei commenti di Pomponio Leto, in Pomponio Leto tra identità locale e cultura internazionale, Atti del convegno internazionale (Teggiano, 3-5 ottobre 2008), Roma 2011, pp. 39-55).
è quindi importante per ricostruire il metodo d’insegnamento adottato da Pomponio lo studio dei suoi corsi universitari che sono stati trasmessi negli appunti degli alunni. Alcuni di questi dictata (termine con cui venivano designate le reportationes universitarie in ambiente romano) sono conservati in annotazioni originali, prese direttamente dagli alunni che ascoltavano la viva voce del maestro. Si tratta quindi di un testo trasmesso nell’oralità e che pone problemi particolari a chi attende alla sua edizione: da una parte rappresentano l’ “autografo” di un allievo, che può essere anche una persona nota, di cui documentano la cultura, il livello d’istruzione e le abitudini grafiche, dall’altra sono il documento di un testo nato per essere orale. Per l’edizione di questi testi, come dichiara anche Jacqueline Hamesse, si debbono seguire criteri diversi da quelli tradizionali. Anche nel caso di corsi tenuti nello stesso anno accademico e tramandati dagli appunti di due allievi diversi che avevano assistito alla medesima lezione (es. il redattore del corso varroniano conservato nel codice Vat. lat. 3415 e quello del medesimo corso trasmesso nel codice Escurialense g III 27) non è possibile collazionare i due testi. Ogni dictatum presenta infatti caratteristiche tali (diversi errori di udito, diverse omissioni, diverse correzioni eseguite direttamente durante l’annotazione) da farlo ritenere un testimone autonomo che l’editore deve pubblicare indipendentemente dall’altro dictatum.
Nel laboratorio si propone ai dottorandi di restituire il dictatum originale riguardante il corso sul De lingua Latina di Varrone tenuto da Pomponio nell’a, a. 1484-85 che è tramandato nel codice Vat. lat. 3415. è opportuno tenere presente un’edizione moderna del De lingua Latina (quella curata da R. G. Kent oppure da A. Traglia oppure da G. Goetz e F. Schoell). Si dovrà accompagnare il testo restituito con un apparato critico e creare una sezione di apparato in cui sono individuati i luoghi delle fonti citate da Pomponio durante la lezione.
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