Il gioco della vita

Il gioco della vita

by Simone Milano -
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Quando il professor Giansanti introdusse il concetto di automa cellulare, discutendo delle transizioni mesoscopiche, tentò di esemplificarlo attraverso uno dei suoi esponenti più celebri: il gioco della vita, ideato per la prima volta da John Conway. Il problema fu che in una lezione dove parlammo di “ground state” e dei tentativi di passaggio dalla dinamica alla termodinamica stocastica, un concetto poco intuitivo come l’automa cellulare fu piuttosto faticoso da seguire. Almeno per me, s’intende.

Approfitterò dunque di questo forum, se mi è concesso, per chiacchierare su un argomento non strettamente biofisico, di cui mi interessai diversi anni fa quando mi avvicinai alla teoria dei giochi.

Non che la stessi studiando da matematico, è che “A Beautiful Mind” è un film che sa trascinarti.

A grandi linee, un automa cellulare è un modello di generazione della dinamica di un sistema. Si tratta dell’evoluzione di un sistema in uno spazio discretizzato a griglia, dove ad ogni istante temporale nasce una nuova “generazione” le cui caratteristiche derivano:

1)   Dalla funzione matematica che ne caratterizza l’evoluzione

2)   Dalle caratteristiche della generazione precedente (e dunque dalle condizioni iniziali)

Questi modelli nascono, inizialmente, come primissimo approccio al problema delle macchine auto-replicanti, studiato a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 da Von Neumann.  L’automa cellulare di Von Neumann, nonostante la sua complessità (ben 29 stati possibili), era dominato da un algoritmo deterministico.

Sul finire degli anni ’60, John Conway cominciò ad interessarsi al problema delle macchine auto-replicanti, allontanandosi momentaneamente dalla sua originale formazione di teorico dei gruppi. Il suo obiettivo era di creare un automa cellulare non deterministico, capace di evolversi in maniera caotica ed imprevedibile e, così facendo, di simulare uno stato di vita artificiale.

Già al giorno d’oggi come obiettivo sembrerebbe piuttosto ambizioso. Figurarsi nel 1970, quando la maggior parte delle persone non aveva neanche idea di cosa fosse un computer.

Il gioco della vita fu costruito per la prima volta su una tavola di Go: una griglia, delle pietre bianche e nient’altro.

Per quanto la strada puntasse verso sistemi ancora più complessi, il segreto dell’aleatorietà si celava in un riduzionismo radicale.

Il numero di stati possibili di ogni celletta fu abbassato da 29 a 2:

0)  off (cella morta)

1)  on (cella viva)

La parte più difficile fu trovare la giusta funzione che regolasse l’evoluzione del sistema, alla ricerca di quella che simulasse quanto più da vicino la caoticità della vita. Dopo miriadi di tentativi, si scelse di evolvere la dinamica del sistema secondo le seguenti quattro regole:

1)  1) Una cella viva affiancata da due o tre celle vive sopravvive alla generazione successiva

2)  2) Una cella viva affiancata da meno di due celle vive muore per sottopopolazione

3)  3) Una cella viva affiancata da più di tre celle vive muore per sovraffollamento

4)  4) Una cella morta affiancata da tre celle vive “nasce” nella successiva generazione


    Life_trifoglio.gif


Sin dalla sua prima pubblicazione nell’ottobre del 1970 su “Scientific american”, Life (questo il titolo originale dell’automa) affascinò matematici e divulgatori. Le sue conseguenze furono pressoché immediate, fornendo un definitivo slancio all’allora nascente scienza computazionale. Senza alcun bisogno di modelli astratti, venne evidenziata la prova empirica che da regole molto semplici posso nascere sistemi estremamente complicati. Lo studio di Life oltrepassò quasi istantaneamente i confini statunitensi e di lì a poco il matematico inglese Richard Kenneth Guy (che dieci anni prima aveva addirittura collaborato con Paul Erdős) trovò la prima configurazione capace di auto-riprodursi in modo indefinito: l’aliante.

aliante.gif

Questo è il primo esempio di “navicella”, ovvero uno schema che si muove lungo la griglia, ma dopo un certo numero di generazioni (definito periodo, in modo poco fantasioso) ritorna alla sua orientazione originale. Combinazioni di alianti, inoltre, sono state manipolate per costruire configurazioni ancora più complesse, rendendo tale oggetto una sorta di “mattoncino” di Life. Qualcosa di simile ad un numero primo.

Quando pubblicarono il suo lavoro, Conway non era ancora del tutto a conoscenza delle potenzialità della sua stessa creazione. Del resto, solo in tempi recentissimi si può dire di aver completamente esaurito l’argomento “gioco della vita”. All’epoca, tuttavia, per stimolare interesse nello studio dell’automa Conway congetturò la possibilità di creare una configurazione a crescita infinita e offrì cinquanta dollari in premio a chi avesse trovato un esempio di tale proprietà. Non ci volle molto prima che Bill Gosper inventò il primo cannone ad alianti, che oggi porta il suo nome.

cannone_Gosper.gif

Gosper, in particolare, ha il grande merito di essere stato il primo a pontificare il gioco della vita con quella che diventerà poi la comunità hacker (nel senso di “smanettone”, non di criminale). Non per niente Eric Steven Raymond, autore del saggio “La cattedrale ed il bazaar”, proporrà l’aliante come simbolo di tale comunità.    

 

Alla fine di quella lezione, quella in cui Giansanti accennò al lavoro di Conway, mi scaricai l’applicazione sul cellulare preso com’ero dal fomento. Quando la feci vedere ad un collega, sul treno, mi chiese a cosa servisse quella roba.

“L’ha fatta un matematico” gli risposi “presa di per sé non serve a niente”

Suppongo di essere stato un po’ troppo duro con quella frase, ma non si può certo negare come ogni sistema scientifico o filosofico crolli come un castello di carta quando viene visto troppo da vicino. Alla fine quello che mi ha appassionato di più di questa storia non è mai stata la possibilità di sfruttamento di Life. Forse, e dico forse, è stato un certo senso di comunione. E’ stato il modo in cui ha unito settori che non si parlavano, generandone altri. Magari è questa la strada che dovrà percorrere in futuro la biofisica, in un modo o nell’altro.