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5. SINTESI E CATABOLISMO DELL’EME Leme è il cofattore di numerose proteine che intervengono nel legame e nel trasporto dellossigeno (emoglobina e mioglobina), nel trasporto di elettroni (citocromi), nelle ossidazioni a funzione mista (citocromo P450), nella decomposizione del perossido didrogeno (perossidasi), nella sintesi del GMP ciclico (guanilato ciclasi) e nellossidazione del triptofano (triptofano pirrolasi), delle prostaglandine (prostaglandina endoperossido sintetasi) e dellindolamina (indolamina diossigenasi).
5.1. COMPOSTI INTERMEDI NELLA BIOSINTESI DELLEME Come mostrato in Fig. 5.1, leme viene sintetizzato attraverso una sequenza di reazioni coinvolgenti otto enzimi: il primo (δ-aminolevulinico sintetasi) e gli ultimi tre enzimi (coproporfirinogeno ossidasi, protoporfirinogeno ossidasi e ferrochelatasi) sono situati nel mitocondrio, mentre gli enzimi intermedi della sequenza (δ-aminolevulinico deidratasi, porfobilinogeno deaminasi, uroporfirinogeno III cosintetasi e uroporfirinogeno decarbossilasi) si trovano nel citoplama. La biosintesi di una molecola di eme richiede 8 molecole di glicina e 8 molecole di succinil CoA. Lacido δ-aminolevulinico è il primo composto intermedio che si forma lungo questa via metabolica. Due molecole di acido δ-aminolevulinico si combinano tra loro in presenza della δ-aminolevulinico deidratasi a formare il porfobilinogeno, che è un monopirrolo, e 4 molecole di porfobilinogeno sono assemblate testa-coda ad opera della porfobilinogeno deaminasi a formare un tetrapirrolo lineare (idrossimetilbilano). La chiusura dellanello e la formazione delluroporfirinogeno III sono catalizzate dalla cosintetasi che, operando un ribaltamento dellultimo dei nuclei pirrolici, impedisce laccumulo degli isomeri tipo I, inutilizzabili per la sintesi delleme. Luroporfirinogeno viene decarbossilato a coproporfirinogeno e quindi ossidato a protoporfirinogeno. I porfirinogeni si ossidano rapidamente allaria formando le porfirine che sono i composti tetrapirrolici ciclici che si trovano normalmente nei campioni biologici. Una ossidasi specifica catalizza lossidazione del protoporfirinogeno IX a protoporfirina IX, che è substrato della ferrochelatasi, ultimo enzima della sequenza metabolica.
Figura 5.1. Biosintesi delleme. 1: δ-aminolevulinico sintetasi, 2: δ-aminolevulinico deidratasi, 3: porfobilinogeno deaminasi, 4: uroporfirinogeno III cosintetasi, 5: uroporfirinogeno decarbossilasi, 6: coproporfirinogeno ossidasi, 7: protoporfirinogeno ossidasi, 8: ferrochelatasi.
La sintesi dellemoglobina nel midollo osseo richiede il consumo di circa 0,3 g di acido δ-aminolevulinico al giorno, mentre la sintesi delleme epatico (in gran parte impiegato nella formazione del citocromo P450 microsomiale) utilizza circa 0,05 g di acido δ-aminolevulinico al giorno. Quantità minori di acido δ-aminolevulinico intervengono nella sintesi delleme degli altri tessuti extraepatici. La formazione dellemoglobina è regolata mediante un
processo che passa attraverso la differenziazione delle cellule
eritroidi e che è associato allaumento di tutti gli enzimi
della biosintesi delleme (in queste cellule la velocità di
sintesi delleme sembra dipendere in particolare dalla
disponibilità di ferrochelatasi). Nel fegato la biosintesi delleme
è invece regolata dallattività della δ-aminolevulinico
sintetasi che è, a sua volta, influenzata da derivati ormonali (soprattutto
da metaboliti di ormoni steroidei aventi lanello A saturo),
da farmaci o da fattori dietetici La solubilità delle porfirine in solventi acquosi diminuisce con il diminuire dei gruppi carbossilici dei sostituenti sullanello tetrapirrolico. Così, luroporfirina (con 8 gruppi carbossilici) è la più solubile in acqua e viene escreta in gran parte con le urine, mentre la protoporfirina (con 2 gruppi carbossilici) è la meno solubile e viene eliminata solo con la bile. La coproporfirina con 4 gruppi carbossilici è escreta attraverso entrambe le vie. Oltre ai precedenti cataboliti, nelle urine possono essere presenti anche porfirine con cinque, sei e sette residui carbossilici derivanti da una decarbossilazione incompleta dei metaboliti intermedi della biosintesi delleme (Fig. 5.2).
Fig. 5.2. Porfirinogeni e porfirine
Ad eccezione della δ-aminolevulinico sintetasi, tutti gli enzimi che portano alla formazione delleme possono essere carenti e causare un aumento della concentrazione e dellescrezione dei metaboliti intermedi della via biosintetica. Questi disordini biochimici sono distinti da alcuni Autori in porfirie (generalmente su base congenite), porfirinemie (per aumento della protoporfirina eritrocitaria in conseguenza di una carenza di ferro o di un avvelenamento da piombo) e porfirinurie (per un moderato aumento della coproporfirina urinaria). La maggior parte delle porfirie si trasmette come carattere autosomico dominante. Le eccezioni sono rappresentate dalla porfiria eritropoietica, dalla porfiria epatoeritropoietica e dalla carenza di δ-aminolevulinico deidratasi, che vengono trasmesse come malattie autosomiche recessive. La porfiria cutanea tarda può manifestarsi anche in forma sporadica ed essere scatenata dallingestione di alcool etilico, estrogeni o idrocarburi aromatici polialogenati o insorgere in forma epidemica per avvelenamento accidentale della popolazione (nel 1956 si verificarono 4000 casi in Turchia per immissione sul mercato di frumento trattato con esaclorobenzene). Il piombo ha effetti su diversi enzimi coinvolti nella sintesi delleme, inibendo la ferrochelatasi, la δ-aminolevulinico deidratasi, la porfobilinogeno deaminasi, la coproporfirinogeno ossidasi e, nei gravi stati di intossicazione, la uroporfirinogeno decarbossilasi. In relazione ai principali siti di espressione del difetto
enzimatico, le porfirie sono classificate in eritropoietiche ed
epatiche (Tab. 5.I). Le manifestazioni
cliniche riguardano lesioni cutanee croniche da
fotosensibilizzazione per attivazione della perossidazione
lipidica e del complemento e manifestazioni acute neuroviscerali
forse per una diretta azione neurotossica dellacido δ-aminolevulinico o per una insufficiente
attività della triptofano pirrolasi
Tab. 5.I. Classificazione delle principali porfirie
5.1.1. Metodi di determinazione La determinazione dellacido δ-aminolevulinico e del porfobilinogeno richiede una preventiva modificazione chimica dellanalita generalmente attraverso una reazione colorimetrica. Il dosaggio delle porfirine non necessita invece di alcun processo di derivatizzazione in quanto queste sostanze assorbono luce nel visibile. Il loro spettro di assorbimento è caratterizzato da una banda principale attorno ai 400 nm (banda di Soret) e da quattro bande di intensità decrescente verso il rosso nella regione compresa fra 500 e 630 nm. Queste ultime bande di assorbimento si riducono a due in ambiente acido o in presenza di metalli. Inoltre, le porfirine, quando non sono chelate a metalli paramagnetici, sono intensamente fluorescenti.
5.1.1a. Determinazione dellac. δ-aminolevulinico e del porfobilinogeno Lacido δ-aminolevulinico viene fatto reagire con un β-dichetone a formare un prodotto di condensazione contenente un nucleo pirrolico (ALA pirrolo). Questo, così come il porfobilinogeno, viene dosato dopo opportuna derivatizzazione. LALA pirrolo e il porfobilinogeno sono separabili fra loro e da eventuali altre sostanze interferenti mediante tecniche di purificazione che possono precedere o seguire le modificazioni chimiche a cui sono sottoposti. (a) Formazione dellALA pirrolo La reazione di condensazione fra il campione deproteinizzato e il β-dichetone (acetilacetone o etilacetoacetato) avviene a caldo (Fig. 5.3). La principale interferenza è dovuta ad un secondo aminochetone (laminoacetone) normalmente presente nei campioni biologici e derivante dalla ossidazione della treonina o dalla condensazione della glicina con lacetil CoA.
Fig. 5.3. Formazione dellALA pirrolo
(b) Derivatizzazione dei composti contenenti il nucleo pirrolico LALA pirrolo e il porfobilinogeno sono fatti reagire con il reattivo di Ehrlich (p-dimetilaminobenzaldeide) in ambiente acido (Fig. 5.4). La reazione procede attraverso due tappe successive: prima si forma un prodotto di condensazione di colore rosso (dosabile spettrofotometricamente a 555 nm); in un secondo momento il composto rosso reagisce con unaltra molecola dellanalita formando un derivato incolore. Il prodotto colorato si mantiene per più tempo quando il reattivo di Ehrlich è preparato in acido perclorico (invece che in acido cloridrico). In queste condizioni, tuttavia, il reattivo di Ehrlich è più instabile. Lurobilinogeno, lindolo, lindacano, lurea e lacido ascorbico possono interferire nella reazione colorimetrica.
Fig. 5.4. Derivatizzazione del porfobilinogeno
Altri procedimenti prevedono la sililazione o la metilazione dellALA pirrolo e costituiscono tappe intermedie per la determinazione dellacido δ-aminolevulinico mediante gas-cromatografia con rivelatore a ionizzazione di fiamma. Lanalisi mediante gas-cromatografia ha una elevata sensibilità (1 ng/mL contro gli 0.5 μg/mL della metodica colorimetrica) ed è utilizzabile per la determinazione dellacido δ-aminolevulinico nel siero. (c) Tecniche di purificazione delladdotto Laddotto di colore rosso fra il porfobilinogeno e il reattivo di Ehrlich può essere purificato mediante estrazione in cloroformio dopo alcalinizzazione per aggiunta di acetato di sodio. Questo metodo (test di Watson-Schwartz), reso più specifico da una successiva estrazione delle sostanze interferenti residue in butano, è utilizzabile per evidenziare in modo non quantitativo un incremento di porfobilinogeno nelle urine. I metodi quantitativi, invece, prevedono di solito una separazione cromatografica degli analiti su resine a scambio ionico prima di iniziare i processi di derivatizzazione. Una volta formato lALA pirrolo, questo può essere ulteriormente purificato ripetendo la cromatografia a scambio ionico. In alternativa ai metodi cromatografici a bassa pressione, è possibile separare lacido δ-aminolevulinico e il porfobilinogeno su HPLC. La determinazione quantitativa degli analiti è effettuata in tal caso dopo reazione colorimetrica in un reattore termostatato posto tra la colonna cromatografica e il rivelatore spettrofotometrico.
5.1.1b. Determinazione delle porfirine. I porfirinogeni eventualmente presenti sono ossidati a porfirine con perossido di idrogeno. Le porfirine possono essere estratte da campioni debolmente acidificati mediante un solvente organico relativamente polare (di norma si usa una miscela acido acetico-etilacetato). Le porfirine sono quindi riportate in ambiente acquoso con acido cloridrico (3 M) e osservate alla luce ultravioletta, dove emettono una intensa fluorescenza rossastra. Determinazioni quantitative possono essere ottenute mediante diverse tecniche. Un primo metodo consiste nella estrazione frazionata delle porfirine in solventi organici a un pH prossimo al loro punto isoelettrico (è possibile così separare luroporfirina dalla coproporfirina) e nella misura spettrofotometrica dellestratto risolubilizzato in acido. In alternativa, è possibile adoperare un metodo cromatografico su strato sottile per separare le porfirine come tali o dopo una loro conversione in metil esteri mediante aggiunta di metanolo e acido solforico. Tecniche di cromatografia liquida ad alta pressione in fase inversa permettono una buona separazione di tutte le frazioni.
5.1.2. Preparazione del campione ed intervalli di riferimento Il saggio può richiedere campioni di sangue, urine o feci (circa 1 g). La determinazione dellacido δ-aminolevulinico e delle porfirine è eseguita preferibilmente sulle urine delle 24 ore. Nel caso del porfobilinogeno, è invece richiesto un campione di urine ottenuto durante o immediatamente dopo lattacco acuto di dolore addominale; le urine devono essere raffreddate a temperatura ambiente prima di eseguire il test. Una cattiva conservazione dei campioni può facilmente inficiare i risultati. Per la determinazione dellacido δ-aminolevulinico è consigliabile raccogliere le urine in un recipiente contenente acido tartarico (0,5 mol/L) o acido benzoico (0,5 g/L). Nel caso delle porfirine la raccolta deve avvenire in presenza di bicarbonato di sodio (0,5 g/L). Le urine devono essere conservate nel congelatore e al buio. Lintervallo di riferimento dellacido δ-aminolevulinico è di 417 μg/L (30,5130 nmol/L) nel plasma e di 25100 μg/h (191763 nmol/h) nelle urine. Nel caso di una intossicazione da piombo, questi valori salgono a 14-190 μg/L nel plasma ed a 83-2500 μg/h nelle urine. Per quanto riguarda il porfobilinogeno, il test può considerarsi negativo per concentrazioni urinarie dellanalita inferiori a 2 mg/L. La concentrazione delle porfirine deve essere inferiore a 600 μg/L nel sangue intero, a 200 μ/L nelle urine ed a 60 μg/g per peso secco di feci.
5.2. CATABOLITI DELLEME Lanello tetrapirrolico delleme è aperto a livello del ponte α-metenico (Fig. 5.5). La prima reazione è catalizzata dalleme ossigenasi microsomiale, molto attiva nella milza, che porta alla formazione del α-ossieme. Questo composto viene a sua volta ossidato a biliverdina (biliverdina IXα) dallossigeno molecolare probabilmente mediante una reazione non-enzimatica che porta alla liberazione di monossido di carbonio. La biliverdina è convertita in bilirubina (bilirubina IXα) dalla biliverdina redutttasi, un enzima citosolico utilizzante NADH o NADPH come agenti riducenti. La struttura della bilirubina è stabilizzata da legami idrogeno fra i gruppi carbossilici dei residui propionici e gli anelli pirrolici esterni. La molecola, meno polare della biliverdina, è instabile in soluzioni acquose e tende a formare aggregati colloidali.
Fig. 5.5. Ossidazione delleme a bilirubina
Circa l80% della bilirubina deriva dalla degradazione delleme liberato dalla lisi degli eritrociti senescenti. Una quota minore proviene dalle altre emoproteine. Una frazione ancora più limitata deriva dalleritropoiesi "inefficace", che può tuttavia diventare una fonte importante di bilirubina in alcune malattie ematologiche come la talassemia e lanemia perniciosa (vedi Par. 7.1.3a). In circolo, la bilirubina forma due diversi complessi con lalbumina: (1) in condizioni normali, la bilirubina si lega quasi esclusivamente come dianione ad un sito ad alta affinità dellalbumina; (2) in condizioni di iperbilirubinemia accompagnata ad acidosi, la bilirubina non-ionizzata è unita ad un sito a più bassa affinità mediante un legame fortemente dipendente dal pH. Numerose sostanze possono interferire con il legame dellalbumina con la bilirubina. I sulfamidi, i farmaci antiinfiammatori e il mezzo di contrasto usato nelle colangiografie spostano competitivamente la bilirubina dallalbumina. Gli acidi grassi si comportano in maniera diversa a seconda della loro lunghezza: quelli a catena breve inibiscono il legame della bilirubina allalbumina, quelli a catena media lo facilitano, quelli a catena lunga sono privi di effetto. La bilirubina è rapidamente rimossa dal circolo e incorporata negli epatociti mediante un meccanismo di trasporto saturabile ed inibibile competitivamente da altri anioni organici, come lindocianina e la bromosulftaleina. Allinterno dellepatocita, la bilirubina si lega alla proteina Y (o ligandina, identificata con la GSH-transferasi B) e, in minor misura, alla proteina Z. Una efficiente escrezione della bilirubina attraverso i canalicoli biliari richiede una sua conversione in un composto più polare. Ciò avviene principalmente mediante lesterificazione di uno o di entrambi i gruppi propionilici con lacido glucuronico attraverso la reazione catalizzata dalla UDP glucuronosiltransferasi (Fig. 5.6). Lenzima, che si trova nei microsomi, è attivato dalla UDP-N-acetilglucosamina e può accettare come donatori del gruppo glucoronile sia lUDP-glucuronato che lUDP-glucosio e lUDP-xilosio. Poiché la bilirubina IXa è asimmetrica, i suoi derivati monoesterificati esistono come due isomeri distinti, a seconda quale dei due gruppi propionilici sia interessato al legame. Il trasporto della bilirubina coniugata dallepatocita nella bile avviene attraverso una pompa ATP-dipendente specifica per la bilirubina e per altri anioni organici ed è facilitato dal gradiente elettrochimico di membrana.
Fig. 5.6. Bilirubina diglucuronata
Nellintestino, una parte della bilirubina è deconiugata dalle glucuronidasi batteriche e, ritornata così liposolubile, è riassorbita, ma la maggior parte è ossidata a urobilinogeno, che è ulteriormente metabolizzato ad altri pigmenti, soprattutto stercobilina, ed escreto. Una piccola parte dellurobilinogeno viene riassorbita e va incontro ad una circolazione enteroepatica. Anche la bilirubina coniugata è legata allalbumina nel sangue circolante, ma con minore affinità (salvo una quota che forma invece un legame irreversibile), cosicché la parte non legata può essere filtrata dal glomerulo renale e la frazione che sfugge al riassorbimento tubulare può essere eliminata nellurina. Benché la produzione giornaliera di bilirubina sia inferiore a 500 mg, il fegato normale può arrivare a coniugarne più di 1500 mg al giorno. Questampia riserva funzionale è una delle ragioni per cui la determinazione della bilirubinemia è un test di limitata sensibilità nelle epatopatie. Di grande rilevo clinico è invece la determinazione della frazione non coniugata della bilirubina nei casi di encefalopatia da ittero nucleare (kernittero). Questa alterazione si manifesta in neonati con alti livelli di bilirubina non coniugata o in giovani adulti con grave deficit ereditario di UDP-glucuronosiltransferasi. La bilirubina infatti inibisce la sintesi proteica, il metabolismo dei carboidrati e la respirazione cellulare nel cervello. Il kernittero si manifesta di solito fra il terzo e il sesto giorno di vita con ipotonia, iporiflessia, movimenti atetoidi ed opistotono. Lalterazione metabolica può evolvere portando a morte il paziente o dar luogo a perdita dudito, paralisi dei nervi cranici, atetosi e ritardo mentale. Il danno neurologico è provocato dalla quota di bilirubina non coniugata che non è legata allalbumina (bilirubina libera), così che il rischio di kernittero aumenta con il diminuire della capacità legante residua dellalbumina. Si ritiene che limmaturità della barriera emato-encefalica nel neonato possa contribuire al kernittero, ma non vi sono a tuttoggi delle prove dirette in tal senso. La classificazione degli stati iperbilirubinemici è riportata in Tab. 5.II.
Tab. 5.II. Stati iperbilirubinemici.
La tradizionale classificazione dellittero in
preepatico, epatico e postepatico può essere ancora oggi utile.
Nellittero preepatico il carico di bilirubina che arriva al
fegato è aumentato generalmente per un processo emolitico in
atto dovuto a fragilità eritrocitaria (per esempio una
sferocitosi congenita) o ad una reazione immunitaria (ad esempio
una incompatibilità materno-fetale; vedi
Par. 7.1.3a). La bilirubina si trova
nella forma non coniugata e quindi non compare nellurina
La presenza di bilirubina nellurina è sempre una manifestazione patologica e sta ad indicare una malattia del fegato (ittero epatocellulare) o delle vie biliari (ittero postepatico). La bilirubinuria può precedere una iperbilirubinemia e può quindi essere un indice assai sensibile di un danno epatico imminente. Laumento della bilirubina nel plasma è soprattutto a carico della frazione coniugata. Se la quantità di pigmenti biliari che arriva allintestino è ridotta (come nellittero ostruttivo), proporzionalmente diminuisce la quantità di urobilinogeno nellurina. Se questo risulta assente ad una analisi ripetuta per più giorni, la causa più frequente è un carcinoma della testa del pancreas. La determinazione dellurobilinogeno è tuttavia diventata obsoleta, sia per la complessità dellanalisi, sia per la disponibilità di indagini più affidabili ed accurate per la diagnosi di ostruzione delle vie biliari. La bilirubina legata irreversibilmente allalbumina mediante un legame covalente (bilialbumina) costituisce una terza forma di bilirubina che può essere presente nel plasma. La bilirubina glucuronata è il precursore che dà origine a questo complesso. La bilialbumina compare nel plasma in tutte le condizioni che causano un accumulo del pigmento glucuronato, come lostruzione biliare, lepatite, la cirrosi, le neoplasie epatiche e la sindrome di Dubin-Johnson e di Rotor. La formazione del complesso, che può costituire più del 90% della bilirubina totale, è dipendente dalla durata della colestasi, motivo per cui la percentuale di bilirubina legata irreversibilmente tende ad aumentare nel corso della malattia. Questa frazione di bilirubina non attraversa il filtro renale e possiede una emivita plasmatica simile allalbumina, spiegando la frequente assenza di bilirubinuria pur in presenza di elevati livelli di bilirubina coniugata nel plasma durante la fase di risoluzione di una patologia epatica ostruttiva. La bilialbumina non è invece dosabile nei soggetti normali e in quelli con iperbilirubinemia non coniugata, compresa la sindrome di Gilbert e di Crigler-Najjar.
5.2.1. Metodi di determinazione I metodi per il dosaggio della bilirubina prevedono una sua determinazione spettrofotometrica diretta, luso di reazioni colorimetriche o la determinazione dellanalita dopo la sua purificazione. Ulteriori metodiche sono utilizzate per evidenziare la quota non legata allalbumina della bilirubina non glucuronata (bilirubina libera) e la capacità legante residua dellalbumina.
5.2.1a. Determinazione spettrofotometrica diretta E possibile misurare direttamente allo spettrofotometro la concentrazione della bilirubina totale. Poiché alla lunghezza donda di massimo assorbimento della bilirubina (454 nm) anche lossiemoglobina assorbe la luce, è necessario correggere la misura per il contributo di questultima sostanza. Per fare ciò, si sottrae alla misura a 454 nm lassorbimento a 540 nm, poiché lossiemoglobina assorbe la luce in eguale misura a queste due lunghezze donda. Il metodo, tuttavia, non corregge per il contributo dato dai carotenoidi, che anche assorbono a 454 nm e possono dar luogo a misure falsamente elevate. Per questo motivo la determinazione spettrofotometrica diretta della bilirubina è raramente usata nelladulto. Essa può essere invece adoperata nei neonati sotto i 3 mesi, che non assumono quantità di carotene sufficienti ad alterare il risultato del test. Una determinazione spettrofotometrica diretta del pigmento può essere fatta anche per stimare il livello di bilirubina nel liquido amniotico, come indice di un processo morboso nel feto.
5.2.1b. Reazioni colorimetriche Molti dei metodi in uso per la determinazione della bilirubina nei liquidi biologici sono ancora oggi basati sulla diazo-reazione descritta da van den Bergh e Snapper nel 1913. La reazione consiste nellattacco nucleofilico di una molecola di diazo-reattivo di Ehrlich (cloruro di diazonio) allatomo di carbonio 9 o 11 del tetrapirrolo con formazione di un primo azodipirrolo e di un prodotto intermedio instabile, che reagisce con una seconda molecola di diazo-reattivo dando luogo ad un secondo azodipirrolo. Per ogni molecola di bilirubina si formano dunque due molecole di azodipirrolo, dosabili spettrofotometricamente. Il diazo-reattivo, che è instabile, deve essere preparato al momento delluso facendo reagire il nitrito di sodio con lacido sulfanilico (Fig. 5.7).
Fig. 5.7. Determinazione della bilirubina con il reattivo di Ehrlich
Lemoglobina interferisce sulla determinazione della bilirubina in modo complesso. Un primo tipo di interferenza si verifica già prima dellaggiunta del diazo-reattivo ed è dovuto alla distruzione della bilirubina da parte dellemoglobina; questo inconveniente viene evitato aggiungendo al campione della caffeina, che ha un effetto stabilizzante sulla bilirubina. Un secondo tipo di interferenza si ha nel corso della diazo-reazione per la distruzione della bilirubina da parte della ossiemoglobina e, per ridurre questo effetto, è necessario convertire lossiemoglobina in carbossiemoglobina. Una terza causa di interferenza è lossidazione della bilirubina da parte dei perossidi che si generano nellambiente acido della diazo-reazione a seguito della formazione di un ponte -O-O- tra due molecole di ossiemoglobina con liberazione di eme ferrico; questo effetto è prevenuto aggiungendo agenti riducenti, come ad esempio lo ioduro di potassio. Una quarta interferenza si ha in fase di lettura dellassorbanza ottica del prodotto della diazo-reazione in quanto vi è una sovrapposizione spettrale fra lemoglobina e gli azodipirroli in ambiente acido. Inoltre, la formazione di metaemoglobina a partire dallossiemoglobina è più rapida nel test che nel bianco e linterferenza spettrale della metaemoglobina è inferiore rispetto a quella dellossiemoglobina. Aggiungendo tartrato alcalino è possibile spostare verso lunghezze donda più alte lo spettro di assorbimento degli azo-pigmenti e, inoltre, favorire la formazione di metaemoglobina sia nel test che nel bianco. Tuttavia in queste condizioni si provoca una ulteriore distruzione della bilirubina, che può essere però prevenuta aggiungendo ascorbato prima del tartrato alcalino. Fin dallinizio fu visto che la bilirubina presente nelle urine e nel plasma di pazienti con ittero ostruttivo (bilirubina diretta) reagiva direttamente con il diazo-reattivo, mentre la bilirubina nel plasma dei pazienti con ittero emolitico (bilirubina indiretta) richiedeva un agente, come lalcool etilico, in cui sia la bilirubina che il diazo-reattivo fossero solubili. Successivamente fu stabilito che la frazione indiretta corrispondeva alla bilirubina non coniugata, mentre la frazione diretta era identificabile con la bilirubina glucuronata. Anche la bilirubina glucuronata legata irreversibilmente allalbumina (bilialbumina) reagiva direttamente con il diazo-reattivo, potendo costituire in talune circostanze la maggior parte del pigmento a reazione diretta nel siero di pazienti con ittero colostatico. Sebbene la distinzione tra bilirubina diretta ed indiretta sia ancora molto utile nella pratica clinica, è ormai assodato che le due frazioni non riflettono accuratamente le concentrazioni di bilirubina non coniugata e coniugata, ma sono influenzate dalle condizioni di reazione (pH, forza ionica, temperatura, esposizione alla luce). Diminuendo il tempo di reazione, è possibile minimizzare la quota di bilirubina non coniugata che reagisce con il diazo-reattivo in assenza di un opportuno solvente, aumentando così la specificità del saggio della bilirubina diretta. Tuttavia, poiché esiste sempre una quota variabile di bilirubina non coniugata che reagisce direttamente con il diazo-reattivo, è impossibile determinare con precisione la quota di bilirubina glucuronata in presenza di una grande quantità di pigmento non coniugato. Daltra parte è noto che la diazo-reazione quantifica solo circa il 70% della bilirubina esterificata. Le procedure attualmente in uso derivano da quelle proposte da Malloy e Evelyn e da Jendrassik e Grof. Secondo Malloy e Evelyn la reazione deve avvenire a pH 1,2 e la frazione non coniugata deve essere solubilizzata in metanolo. A questo pH lazo-pigmento ha un massimo di assorbimento a 560 nm. Il metodo di Jendrassik e Grof prevede che la reazione avvenga a pH 6,5 e che lazo-pigmento sia misurato a 600 nm dopo alcalinizzazione a pH 13. La bilirubina non coniugata è solubilizzata in benzoato di sodio e caffeina. Ulteriori modifiche ai due metodi riguardano il solvente da usare per solubilizzare la bilirubina non coniugata, che può essere il dimetil sulfossido, lurea o lantipirina e metanolo. Lacido sulfanilico può essere sostituito con la p-iodoanilina. Il metodo è molto sensibile e riproducibile, particolarmente in presenza di campioni torbidi, grazie alla possibilità di estrarre gli azo-pigmenti derivati dalla reazione in un solvente organico. Un altro metodo prevede luso delletil antranilato diazotizzato. Il vantaggio è che la bilirubina non coniugata non reagisce significativamente con questo reattivo a pH 7,2 in un mezzo acquoso, mentre la bilirubina coniugata reagisce completamente. Un metodo per il dosaggio in fase solida su lastrine a perdere permette di valutare sia la bilirubina totale che le frazioni libera ed esterificata. Nella lastrina per il dosaggio della bilirubina totale, la diazo-reazione avviene in uno strato poroso a pH controllato e gli azo-derivati vengono legati ad un mordente che provoca una modificazione dello spettro dassorbimento. Per evitare interferenze da parte di altri composti, lassorbimento viene determinato a due diverse lunghezze donda. La lastrina per il dosaggio differenziato della bilirubina non coniugata e di quella esterificata è composta di un primo strato poroso, su cui viene steso il campione di siero e che impedisce la migrazione negli strati sottostanti della bilialbumina, dellemoglobina e di altre sostanze interferenti. La bilirubina non coniugata e quella esterificata raggiungono invece lo strato sottostante dove si legano ad un mordente che ne modifica lo spettro di assorbimento rendendo differenziabili a diverse lunghezze donda le due frazioni. Il metodo è calibrato con bilirubina coniugata alla taurina, che costituisce, in queste condizioni, un surrogato accettabile della bilirubina glucuronata.
5.2.1c. Purificazione dellanalita Una ulteriore procedura si basa su una reazione di trans-esterificazione in metanolo alcalino dei pigmenti che consente la conversione quantitativa dei mono- e diglucuronilderivati della bilirubina nei corrispondenti mono- e dimetilesteri. I prodotti della reazione e la bilirubina non coniugata, che non viene modificata, sono estratti in metanolo e analizzati mediante cromatografia su strato sottile o mediante cromatografia liquida ad alta pressione (HPLC). La prima tecnica permette di ottenere solo informazioni qualitative o semi-quantitative, mentre lHPLC è in grado, con lausilio di uno standard interno, di quantificare accuratamente le varie frazioni di pigmento.
5.2.1d. Bilirubina libera e capacità legante residua dellalbumina La bilirubina non glucuronata libera può essere separata dalla frazione legata allalbumina mediante tecniche cromatografiche di gel-filtrazione e quindi dosata mediante una diazo-reazione. In alternativa si può ossidare la bilirubina libera a biliverdina incolore mediante una ossidasi o una perossidasi specifica, avendo laccortezza di misurare la velocità iniziale della reazione per non spostare significativamente della nuova bilirubina dal complesso bilirubina-albumina. La bilirubina legata allalbumina può essere dosata sfruttando il fatto che questa, a differenza della forma libera, è fluorescente. La capacità legante residua dellalbumina può essere misurata titolando lalbumina con bilirubina o con uno dei numerosi coloranti che si legano al sito primario o secondario dellalbumina per la bilirubina.
5.2.2. Preparazione del campione ed intervalli di riferimento La bilirubina totale può essere dosata mediante la diazo-reazione sia nel plasma che nel siero. Il siero è da preferirsi quando si usa il metodo di Malloy e Evelyn in quanto laggiunta di alcool può far precipitare le proteine del plasma e falsare lanalisi. La bilirubina coniugata può essere dosata indifferentemente nel plasma o nel siero, così come nelle urine. I campioni di liquor possono essere utilizzati per il dosaggio sia della bilirubina totale che della frazione diretta. I campioni con emolisi anche lieve devono essere scartati. Poiché la bilirubina può essere distrutta alla luce e al calore, è necessario eseguire lanalisi il prima possibile senza esporre il campione a fonti luminose. Per il dosaggio della bilirubina libera sono necessari almeno 0,1 mL di siero; altri 0,5 mL sono necessari per il dosaggio della capacità legante residua dellalbumina. La concentrazione di bilirubina totale nel siero è di norma inferiore a 15 mg/L (25.7 μmol/L). In entrambi i sessi la bilirubinemia tende ad aumentare con la pubertà e diminuisce dopo la terza decade. Dopo la pubertà la bilirubinemia è generalmente più elevata nei maschi che nelle femmine. La concentrazione della bilirubina coniugata è inferiore a 2 mg/L. Lalbumina deve essere in un eccesso molare rispetto la bilirubina non coniugata per impedire linsorgenza di effetti tossici. Si considera pertanto che concentrazioni di bilirubina non coniugata nel siero inferiori a 200 mg/L siano sotto il livello di guardia. Se la capacità legante residua dellalbumina è inferiore a 50 mg/L il rischio di kernittero è consistente. Quando la bilirubina libera, ossia la quota di bilirubina non coniugata con lacido glucuronico e non veicolata allalbumina, supera i 12 m g/L (20 nmol/L) è necessario intervenire con una exanguinotrasfusione.
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