L’esperienza della comunità e la nozione di “bene
(in) comune” hanno attraversato le società e le culture europee ed americane a
partire dal XIX secolo. Dalla nozione di comunità discendono in effetti, sul
piano simbolico, l’affermazione dell’idea di Nazione e, sul piano pratico, la
ricerca di un quid medium in nome del
quale dar vita ad una pratica politica il più possibile condivisa.

Il seminario dovrebbe occuparsi di sondare, da un
lato, il valore che alcuni emblemi del “comune” hanno assunto nell’ambito della
pratica artistica e, dall’altro, di esaminare come la crescente capacità di
comunicare e il moltiplicarsi dei media
abbia consentito di rendere omogeneo e partecipato ciò che, in realtà, pertiene
alla sfera dell’eterogeneo e del personale. Se, quindi, sull’ipotesi di
comunità si basa un discorso teso a fondare e ad imporre una visione omogenea
del reale (si pensi solo alle espressioni poetiche imposte dai regimi
assolutisti del ‘900), la condivisione montante delle istanze soggettive ha,
d'altronde, condotto all’attuale situazione di smarrimento del proprio, del
privato, del non-apparentemente-comunicabile.

La valenza estetica, politico-sociale ed etica di
ciò che si ritiene (o è imposto) come “bene comune” ha, di fatto, finito per
emarginare o “eccepire” – a vantaggio, appunto, del “luogo comune” – ciò che è
pensato come diverso, eccettuato, marginale e che, per contro, dovrà essere al centro
della nostra riflessione seminariale.